Tuesday, February 07, 2006

Tropici

Vacanze? L’idea diffusa tra i miei amici è che con questa situazione proprio non si potessero fare: dove vai? Se non sei pieno di soldi è meglio stare a casa... ti stressi meno. Insomma una sfida.
E chi ha detto che per godersi i tropici bisogna andare alle Maldive?

La costa ivoriana invece ci ha riservato una piacevole sorpresa e dopo un anno di lavoro (e quasi 11.000 pazienti), davvero ci voleva uno stacco. Ovviamente al mare, non c’è scampo.
Con Franek (un amico polacco) siamo stati ospitati in un centro della diocesi di S.Pedro, ameno, tranquillo, dai prezzi modici, a patto di adattarsi a qualche piccolo inconveniente... ad esempio non c’era la corrente! Chiaro che la sera azionavano il generatore per dare un po di luce, ma di tornare in camera il pomeriggio nemmeno a parlarne: senza ventilatore la sauna era assicurata (gratis)!
Cosi’, dopo aver faticosamente cercato una crema solare protettiva (e qui chi la usa?), le nostre giornate trascorrevano interamente al mare, sotto le palme (altro che ombrelloni!) a leggere, o in acqua a nuotare. Nuotare? L’oceano di qui non è la tinozza tranquilla del mediterraneo: le correnti sono micidiali... meno male che a S. Pedro e dintorni ci sono alcune baie sicure, basta non avventurarsi troppo al largo. Un gran divertimento è di giocare con le onde, sempre vivaci. Il pranzo in spiaggia spesso frugale... da campeggiatori, ma la sera al centro ci rifacevamo con una cucina africana semplice e gustosa.

I nostri riferimenti in città: una simpatica famiglia ivoriana, che prima abitava a Man (Martin e Christine) e Stefano, veneto, che gestisce probabilmente il miglior ristorante della città. Coi primi abbiamo fatto alcune simpatiche cene coi loro amici del posto (l’ospitalità ivoriana è leggendaria). Con Stefano siamo partiti alla scoperta di spiaggie nascoste e stupende dalle parti di Berebi’ ( a 50 km.). Una in particolare (Dawa) ci ha sedotto per la sua tranquillità, per il panorama selvaggio, l’acqua limpida e... le aragoste grigliate (o altri pescioni) che la trattoria ti portava fin sulla spiaggia a prezzi “ridicoli”. Accanto al nostro campement (spiaggia attrezzata) un semplice villaggio di pescatori con le capanne a 30 metri dalla riva e le piroghe, ricavate da un solo tronco, che uscivano per la pesca.

Mitica la sensazione di correre (scalzi) sul bagnasciuga: per chilometri, superato il villaggio dei pescatori, solo mare, spiaggia, palme e sole... non un’anima viva!

Qualche sera poi eravamo ospiti di Stefano che ci sfornava la pizza (da quanto tempo non la mangiavo!) e ottimi piatti italiani, ma soprattutto godevamo di una amicizia che si approfondiva.
Davvero una benedizione queste due settimane a scoprire un paese che, cosi’, ancora non conoscevo. Un paese che, in tempo di pace, offre bellezze da vendere e ha opportunità di sviluppo impensate.

Friday, February 03, 2006

Medico … senza fili

Di certo conoscete il gioco del « telefono senza fili ».
Uno dice all’orecchio di un altro una frase; questo la ripete all’orecchio di un altro e cosi’ via.
All fine si confronta la frase iniziale e quella “afferrata” dall’ultimo giocatore.
Il risultato è sorprendente. La distorsione e l’interpretazione, colorita, di quanto non si capisce porta spesso molto lontano dall’originale e i risultati sono bizzarri: da bambino mi ci divertivo parecchio!
Già, ma se invece il risultato è di una certa importanza e occorre che il messaggio che parte sia uguale a quello che arriva? Insomma se... non si trattasse di un gioco?

E’ quello che mi è successo l’altro giorno in ambulatorio.
Entra una signora che parla il “peul” accompagnata dal marito che si esprime anche in dioulà”.
La mia traduttrice dal dioulà converte in francese e io, che francese non sono, me la cavo a capire...
Immaginate il rimpallo dei sintomi: signora-marito, marito-traduttrice, traduttrice-medico e viceversa. E... ha funzionato!
Con alcune verifiche incrociate e domande trabocchetto siamo risciti a capirci e la signora è uscita contenta ( finora non è tornata, quindi immagino sia anche guarita).

Insomma: se il “medico senza fili” funziona, allora intendersi tra culture diverse non è poi una utopia.