Ma chi te lo fa fare?
Stamane ricevo la visita di Fabio: un ragazzo italiano che lavora per una segheria (italiana).
Era stato da me 3 giorni fa in uno stato pietoso, con una malaria da cavallo.
Oggi va meglio: la febbre è passata, anche se è ancora debole.
Gli offro un mitico caffè lavazza e i biscotti fatti in casa.
Parliamo a lungo. Il suo lavoro è snervante: praticamente a ciclo continuo per 5 mesi, senza orari (lo chiamano a volte anche di notte se ci sono problemi). Forse per questo ha aspettato un po’ troppo a curarsi… rischiando grosso. Ogni 5 mesi passa una vacanza di un mese in Italia.
Guadagna bene… molto bene.
Mi chiede di noi.
“Ogni quanto rientrate in Italia?”
“Ogni 2-3 anni”
“ Ma come fate?”
Il discorso cade sul periodo della guerra e dei ragazzi del centro che hanno scelto di restare anche quando era pericoloso, mentre tutti gli stranieri partivano (io ero ancora a Genova).
Quando capisce che per curare una marea di pazienti ricevo solo 215 euro è allibito, anche se qui basta ampiamente per vivere.
Chiaramente le sue motivazioni non sono le nostre e… comincia a capirlo.
“Come è tranquillo qui da voi!”.
Chiede come acquistare i biscotti dalla nostra piccola pasticceria e offre la sua disponibilità per qualsiasi cosa abbiamo bisogno.
In fondo la domanda è “ma chi te lo fa fare?”.
Ma a ben vedere la mia risposta è più semplice della sua.
Tutta questa gente che quando mi incontra mi dice “merci toujour, docteur”, con un gran sorriso è la mia motivazione, ben solida.
La sua, è lui stesso a dirmelo, regge molto meno: i soldi, anche tanti, non valgono una vita.
Era stato da me 3 giorni fa in uno stato pietoso, con una malaria da cavallo.
Oggi va meglio: la febbre è passata, anche se è ancora debole.
Gli offro un mitico caffè lavazza e i biscotti fatti in casa.
Parliamo a lungo. Il suo lavoro è snervante: praticamente a ciclo continuo per 5 mesi, senza orari (lo chiamano a volte anche di notte se ci sono problemi). Forse per questo ha aspettato un po’ troppo a curarsi… rischiando grosso. Ogni 5 mesi passa una vacanza di un mese in Italia.
Guadagna bene… molto bene.
Mi chiede di noi.
“Ogni quanto rientrate in Italia?”
“Ogni 2-3 anni”
“ Ma come fate?”
Il discorso cade sul periodo della guerra e dei ragazzi del centro che hanno scelto di restare anche quando era pericoloso, mentre tutti gli stranieri partivano (io ero ancora a Genova).
Quando capisce che per curare una marea di pazienti ricevo solo 215 euro è allibito, anche se qui basta ampiamente per vivere.
Chiaramente le sue motivazioni non sono le nostre e… comincia a capirlo.
“Come è tranquillo qui da voi!”.
Chiede come acquistare i biscotti dalla nostra piccola pasticceria e offre la sua disponibilità per qualsiasi cosa abbiamo bisogno.
In fondo la domanda è “ma chi te lo fa fare?”.
Ma a ben vedere la mia risposta è più semplice della sua.
Tutta questa gente che quando mi incontra mi dice “merci toujour, docteur”, con un gran sorriso è la mia motivazione, ben solida.
La sua, è lui stesso a dirmelo, regge molto meno: i soldi, anche tanti, non valgono una vita.
3 Comments:
Grazie Carlo, questi "squarci" sulla vita in Africa sono quelli che aspettiamo, come ti dicevo altre volte. Non per una curiosità "da zoo", ma per l'esigenza di condividere - sia pure da casa nostra - la vita di chi fa qualcosa per gli altri "in diretta".
Si capisce che il "merci toujour" è dovuto al valore di un rapporto umano che va oltre la medicina.
Carissimo Carlo, sono veramente contento che il tuo amore faccia così tanti miracoli.
Continua così senza mai stancarti!
Buona Pasqua, Federico
Carissimo Carlo, grazie per la tua testimonianza. Non puoi credere quanto bene faccia all'anima e al cuore! Anche se noi siamo utilizzati e impegnati al "fronte"del primo mondo ed occidentale, è bello, incoraggiante,costruttivo e confortante conoscere la vita quotidiana che i fratelli danno agli estremi confini dell'umanità. Io m'impegno a mettercela tutta per cambiare il mio pezzetto di mondo: Spero che ciò ti faccia sentire più in compagnia nella tua quotidiana testimonianza.
Ciao!
Affettuosamente
Angelo C.
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