Saturday, September 24, 2005

Serve un medico qui ?

Da quando sono in Africa mi sono abituato a visitare fino a 50-60 malati in una mattinata, cosa impensabile per me in Italia. Credo di averne visti oltre 8000 finora. E’ un’esperienza unica. Forse perchè nell’immaginario di un medico europeo c’è sempre l’Africa! anche se poi, normalmente, la vita non ti da l’occasione di partire. Quando, a 46 anni, me le hanno proposto, dicendo “è solo per 6 mesi” è stata una sfida che mi ha preso. Un medico è sempre utile, ma qui hai quasi l’illusione di essere indispensabile. Certo che non sono indispensabile, ma di sicuro arrivo a fare qualcosa per tante persone... per quella che, ormai, sta diventando la mia gente.

La mattina alle 6 cominciano ad arrivare i pazienti che si siedono su delle panche fuori degli ambulatori. Alle 7.30 si apre: l’infermiera spedisce i più gravi al pronto soccorso dell’ospedale centrale (Msf); poi insieme a un assistente consegnano il numero, pesano, prendono la temperatura... Raccolgono anche 500 franchi-CFA a paziente (pari a 75 cent di Euro). Ci siamo resi conto, infatti, che non è bene che le cure siano completamente gratuite, che ciascuno deve dare qualcosa in cambio (“quello che non costa, non vale”). Con quella (piccola) somma saranno visitati e riceveranno i farmaci anche per un periodo di 15 giorni (a volte un mese). C’è sempre qualcuno che davvero non può e... non viene mandato via.
Alle 8 e 30 iniziano le visite. Spesso siamo in 2 medici e allora riusciamo a vedere anche 90-100 pazienti, nei giorni di punta. Con me in studio c’è una signora, che ormai ha fatto un po’ di pratica coi malati, che mi aiuta soprattutto per la traduzione nelle 2 lingue locali; sennò parlo direttamente in francese coi pazienti (pensare che io, il francese, l’ho imparato qui). Su un piccolo libretto “carnet de santé”(che devono riportare alla prossima visita) scrivo i sintomi, la diagnosi e la cura; tenendo conto che quasi mai potranno acquistare i farmaci in farmacia, cerco di prescrivere quelli che abbiamo in magazzino. Non posso chiedere esami, tranne quelli che facciamo noi: striscie per le urine, la glicemia (diabete) e un test per la malaria (ma ne abbiamo pochi). Così la mia medicina è molto “clinica”, basata sul colloquio e sulla visita... come una volta! In certi casi li inviamo in ospedale, che però non ha molto di più (lastre RX ma adesso è rotta, ecografia, alcuni (!) esami del sangue e delle feci).
Poi il paziente esce dall’ammbulatorio e deposita il “carnet” al “farmacista” (cioè la sala accanto) che prepara la terapia (in simpatiche bustine di carta da lui confezionate
) e poi lo chiama per consegnarla e spiegare magari in lingua locale, come prenderla .
Altri invece passano dall’infermiera per iniezioni, medicazioni...
Altri ancora, li teniamo nella ”pediatria”: nome ampolloso per designare una stanza con 2 lettini da visita e qualche sedia ove teniamo in osservazione i più gravi, che non ci sentiamo di mandare subito a casa. E per lo più sono bambini con febbri intorno a 40 e qualche adulto da mettere sotto flebo. Verso mezzogiorno li lasciamo andare a casa o invece, se non hanno risposto alle cure, li inviamo in ospedale. Nella galleria di foto (link sul mio blog) ci vedrete all’opera.

E le malattie più comuni? (qui chi è del campo mi seguirà meglio)
La malaria, le parassitosi (vermi intestinali di vario tipo) naturalmente; poi l'ameba, filaria, la scabbia, malattie veneree e AIDS... ma anche banali raffreddori, bronchiti, infezioni vie urinarie, foruncolosi, micosi, otiti ecc
Vediamo anche tantissimi bambini e neonati, seguiamo anche tanti malnutriti. E io che ero abituato a vedere solo anziani! Spesso mi portano neonati “ha 10 giorni” mi dicono... All’inizio mi dicevo “ma come lo visito questo?”.
A volte si vedono cose ormai sconosciute in Europa: polio, ascessi enormi, fistole cronicizzate, artriti settiche.L'aggrressività dei germi è brutale, ma la gente risponde bene agli antibiotici... è sorprendente come guariscono. A volte ci portano i pazienti dai villaggi in ... carriola e c’è chi arriva con 39 di febbre e camminato magari un’ora per venire! Dobbiamo trattare (fare qualcosa...) anche le patologie oculistiche perchè non ci sono oculisti nella regione.
E’ una lotta e una sfida.
A volte non abbiamo i farmaci che ci vorrebbero (i 500 franchi servono appena per dare uno stipendietto di sopravvivenza a noi e ai collaboratori), ma spesso -al momento giusto - arrivano i soldi per fare un ordine o farmaci selezionati da amici in Italia (come Nicola con la sua “marcia arcobaleno”o Enzo e Renato) o in Spagna (Augusto, il medico che è qui da anni – che mi ha insegnato tutto della medicina tropicale - è spagnolo) o dai parenti di un sacerdote-missionario qui da 30 anni , in Francia...e di solito riusciamo a fare fronte.
A volte le ONG presenti sul territorio, che apprezzano il nostro lavoro, riescono ad aiutarci.

... i 6 mesi della prima “missione”sono passati da un bel po’ e io sono ancora qua!

1 Comments:

At 07 May, 2006 06:01, Anonymous Anonymous said...

Ciao Carlo,
è passato del tempo dai primi 6 mesi...
Stai diventando il medico di tutta una comunità composta da piccoli e grandi.

L'altro giorno guardavo un sito di emergency .it ed ora trovo un amico che svolge un compito simile
in Costa D'Avorio.

Sto lavorando da un anno part-time come assistente alla portona in uno studio odontoiatrico: lo stipendio è basso, ma la possibilità di essere vicino al paziente in situazioni a volte di dolore è bella; penso che si possa mettere molto di quello che ognuno ha dentro.

Posso capire quanto tu dai agli altri e dalle foto si nota il tuo atteggiamento verso di loro.

Ho assistito Dani fino alla fine, ora posso dare una mano in situazioni di interventi di implantologia, di estrazioni dentarie o anche di terapie canalari dove la possibilità di dovere sopportare il dolore è presente e dove il poter stringere una mano o scambiare un sorriso viene accettata e apprezzata.

Chissà quale sarà la mia strada?
Mi sono un po' interessata a emergency, ma non è contemplato il mio ruolo non avendo un titolo di studio inerente a quello che sto facendo.

E vero: le distanze non sono poi cosi reali.

Marica Scaini

 

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